Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Chianciano, lunedì 21 luglio 2008 «Bruno Kessler, il rettore democristiano di Sociologia a Trento nel ’68» - il nemico di quella generazione di studenti che comprendeva, oltre a Marco Boato, personaggi dai destini diversissimi come Mauro Rostagno, Margherita Cagol, Gigi Chiais, Renato Curcio, Paolo Sorbi - «al confronto di Pecoraro era un gigante. E noi non lo abbiamo mai considerato una persona piccina; Pecoraro, per citare un’espressione di Saragat, è un omuncolo». È difficile interrompere Marco Boato, lo sfidante, perdente, di Grazia Francescato alla guida dei verdi post-tsunami. «Mi spiace per Grazia, per la quale continuerò ad avere stima, ma è stata usata all’interno di un’operazione fatta dagli stessi che hanno ridotto i Verdi a un partito personale, craxiano, costruito sull’omertà, col mercimonio delle tessere, il leaderismo, l’unanimismo, completamente isolato dalla società, dagli intellettuali, che pure ne hanno rappresentato storicamente una forza. Sappiano che da domani non sarà più così. Se non altro, abbiamo il 40% del partito, e ottenuto con i delegati tesserati da Pecoraro. Una delle prime cose che ho intenzione di fare è chiedere al più presto un nuovo tesseramento». Ecco. È difficile interromperlo perché Marco è sempre stato un grande oratore, fin dai cortei degli Anni Settanta; fu lui, tanto per capirci, a esser spedito a tirare le fila conclusive della tre giorni di convegno sulla repressione (dove nulla ormai poteva esser ridotto a unità) che a Bologna, nel ‘77, segnava la fine di una stagione, preannunciando il riflusso. E fu scelto per una ragione semplice: era uno dei più bravi a parlare, ma anche uno che, cattolico e lontanissimo da qualsiasi tentazione violenta, non se la faceva sotto dalla paura considerando che in sala c’era gente - come si saprà ufficialmente poi - con la P38 dentro lo spolverino. Eppure è difficile interromperlo anche perché la delusione si intuisce da ogni gesto, il giorno dopo la sconfitta. «Fosse stato per Grazia, Pecoraro sarebbe sempre li. Ancora sabato scorso era nella scaletta ad aprire i lavori di Chianciano! Li ho dovuti tempestare di telefonate e di mail, ho detto a Grazia “voi siete pazzi! Se fate aprire Pecoraro Scanio siamo finiti”. E l’ho ripetuto a lui il quale ha farfugliato due parole. Altro che dimissioni spontanee. Queste cose le ho dette da tempo, al consiglio dell’11 maggio, ma anche l’8 dicembre, dopo quell’intervista di Bertinotti a Repubblica nella quale i Verdi venivano annessi a quella minoranza massimalista che è stata la Sinistra arcobaleno. Prima, le diceva anche Grazia». Sostiene Boato che la sua rivale «appena eletta è stata subito commissariata da quella sceneggiata infima recitata da Pecoraro. Ha fatto finta di non venire, per sensibilità, a Chianciano, poi, appena eletta Grazia, si è materializzato e le ha messo il cappello sopra. Che vergogna. Era nascosto nella macchina fuori. E che modo per indebolire subito la portavoce». Alexander Langer, giura Boato, «si sarebbe sentito a disagio con questa gente; lui credeva in un partito con cultura di governo, non una cricca del no». Come altri compagni, Adriano Sofri, Luigi Manconi, Gianni Mattioli, Massimo Scalia. «Adriano ieri sera mi ha chiamato», racconta. «Lui è in apprensione per le sorti del Pd, ma guardava con simpatia alla mia battaglia, questo lo posso dire. Manconi anche, se n’è andato per i motivi che fanno soffrire me, lo sento spesso. E Alex... Con Alex i Verdi li avevamo fondati, questi qui non credo nemmeno se ne ricordino più, chi era, col suo zainetto sempre uguale».
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MARCO BOATO L’errore di Grazia Dall'Assemblea vedi anche: vedi anche |
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